Descrizione
Divertenti storie di un paesello della Lucchesia
Attraverso tre generazioni le vicende di un paesello della Lucchesia nell’arco di quasi un secolo, in un periodo che va dagli inizi del Novecento ai primi anni Ottanta. A raccontarle, è Enrico Linaria, pseudonimo di Enrico Pieruccini, deccino doc per quanto nato a Pitigliano, cresciuto a Livorno e residente da anni a Verona. Erano infatti deccini i genitori e i nonni dell’autore che da bambino e da ragazzo trascorreva a Deccio l’intera estate, le vacanze di Natale e quasi tutte le festività.
Le storie, divertenti, toccanti, a volte surreali, ruotano attorno al bar bottega dove nel novembre del 1956 fu installata la televisione giusto per vedere la puntata finale in cui Luigi Gaddini (contadino lucchese che sapeva tutto di Divina Commedia) vinse cinque milioni al quiz “Lascia o raddoppia?” condotto da un giovane Mike Bongiorno. Protagonisti delle storie sono uomini e donne con pochi soldi in tasca ma ricchissimi di humour, di umanità, di autenticità. Uomini e donne che nonostante mille diffcoltà riuscivano a essere felici ed erano orgogliosi di essere onesti. Per vivere coltivavano i terreni a terrazzamenti e tenevano puliti i boschi: questo dava loro da mangiare e salvaguardava l’assetto idro-geologico del territorio a vantaggio dell’intera collettività.
Tra fashback che ci riportano negli anni a cavallo tra Ottocento e Novecento, quando parecchi deccini emigrarono soprattutto negli States (tre anni di lavoro in miniera e potevano tornarsene a Deccio, costruirsi una casa e mettere su famiglia) e ai tempi della seconda guerra mondiale, decine di storie di paesani davvero originali: da quello che le sparava grosse all’esperto coniatore di moccoli, da chi ce l’aveva con i “ragazzi piccini” a quello che amava il buon bicchiere di vino, dal ragazzetto vivace che fregava le pere al prete alle immancabili pettegole che a Deccio erano due (“gazzetta 1” e “gazzetta 2”) e lavoravano in coppia con risultati strepitosi diffcilmente eguagliabili dalla tivù voyeuristica dei giorni nostri.
E, ancora, il buon Pietro che davanti al camino raccontava (in stile “teatro di narrazione”) storie con una maestria degna di Marco Paolini e di Ascanio Celestini, pranzi da re preparati in quattro e quattr’otto con tempi da fast food e risultati da slow food, gli spettacolari “concerti” di un virtuoso dei peti, la coppia che – giunto un po’ di benessere – si avvelenò mangiando per anni tortellini asciutti a pranzo e a cena, cerimonie religiose che assumevano i toni delle commedie brillanti di Feydeau o di Barillet e trasformavano la chiesa in teatro, strane tecniche di pesca dell’anguilla con l’impiego di secchi e catini, movimentati e comici smascheramenti della Befana, scommesse su quanti tortelli avrebbe mangiato un gatto, due vegliardi che si contendevano una vedova, le carte e le bocce “parlate” contrapposte a quelle giocate (antitesi che anticipava quella tra calcio giocato e calcio parlato), il paesano che spaventò il vescovo con delle fucilate sparate per omaggiarlo e fare festa… insomma a Deccio non ci si annoiava mai.
«Cinquant’anni fa quando Deccio – dice l’autore – aveva sessanta abitanti, erano sessanta persone una diversa dall’altra. Oggi in una città di 250.000 abitanti si possono individuare cinque sei tipologie di persone. E all’interno di ogni tipologia le persone sembrano fatte in serie, con lo stampino».
Eppure, nonostante queste peculiarità umane, un’ambasciata molto criptica di Olindo alla cognata veniva capita al volo, senza problemi: “Se viene quel bischero, digli che a porta’ la legna a quei due bischeri ci pensa quell’altro bischero!”.
A Deccio dunque era anche facile comprendersi.
Nel libro anche il triste degrado conseguenza dell’abbandono dell’agricoltura di collina e gli effetti nefasti sull’idrogeologia del territorio. Purtroppo pochi chilometri sotto Deccio a causa una frana, nel novembre del 2000, muoiono cinque persone.
Ma nel 2011 si riaccende la speranza. Dopo quarantaquattro anni di sole morti, nasce Cristian e il numero degli abitanti di Deccio aumenta di uno. Per il paesello è un grande evento.