Autore, saggista, giornalista, Gianfranco De Turris vanta una carriera di tutto rispetto che lo ha portato a spaziare dalla carta stampata alla diffusione radiofonica (si ricordi la rubrica L’argonauta, da lui ideata e diretta per dodici anni) e al fumetto. Cogliamo l’occasione di questa intervista per parlare di fantastico, visto anche il fil rouge di questo numero.
Vuole raccontarci i suoi esordi? A quando risale la sua passione per il fantastico?
Sin da subito direi, io ero uno di quei ragazzini che preferiva Verne a Salgari, lo leggevo nelle edizioni Paravia che tuttora conservo. Poi la svolta a tredici anni quando mi regalarono il meraviglioso Destinazione Universo curato da Piero Pieroni per Vallecchi e scoprii, in un chiosco al mare vicino Roma, Oltre il Cielo che uscì nel settembre (allora le vacanze scolastiche duravano sino a quel mese), con l’astronave di Caesar in copertina. Un mese dopo, il 4 ottobre 1957, veniva lanciato lo Sputnik, il primo satellite artificiale della Terra. Era iniziata quella che pomposamente fu definita l’Era Spaziale, una sorpresa per tutti eccetto per chi leggeva fantascienza…
Ci sono autori che l’hanno ispirata?
Essendo iniziato tutto da lì, cioè da Oltre il Cielo e non da Urania come di solito accade (recuperai man mano sulle bancarelle i fascicoli dal 1952 in poi soltanto dopo) non ci fu uno scrittore in particolare, ma tutto quel genere che parlava di viaggi tra le stelle, esplorazione di pianeti, alieni buoni e cattivi, robot, civiltà del futuro, guerre spaziali, vale a dire: spalancare l’immaginazione su mondi inesistenti, di domani e anche di ieri, meravigliosi ma anche paurosi, che ti aprivano la mente e la fantasia su infinite possibilità. Mi ricordo che ne accennai anche nei temi in classe, in un’epoca in cui si facevano ed erano fondamentali per la preparazione dei ragazzi, insegnavano loro a scrivere correttamente e ad organizzare il pensiero…
Giornalista, scrittore, saggista: a quale di queste vesti è più affezionato?
Mah, una cosa tiene l’altra. Mi sono laureato in giurisprudenza ma non ho mai pensato né avuto l’intenzione di diventare avvocato, magistrato o notaio. Al massimo ho fatto un concorso (fallito) per bibliotecario. Mi piaceva scrivere, occuparmi di libri, e quindi, non essendo riuscito a entrare stabilmente in una casa editrice, ho lavorato per diverse, ma così, gratuitamente senza tante speranze. Insomma, ero un precario, si direbbe oggi. Un famoso giornalista che conoscevo e frequentava gli ambienti che bazzicavo io per lavoricchiare, Alberto Giovannini, me lo disse esplicitamente: “tu non sei adatto per fare il giornalista, ma per il lavoro editoriale e quindi non ti assumo”. Bel complimento e bella fregatura! Stavamo a Piazza San Silvestro, di fronte al palazzo che ospitava la Sala Stampa, dove alla fine andai a lavorare perché riuscii a entrare in un quotidiano, per un colpo di fortuna, diciamo. Contemporaneamente al lavoro stabile con stipendio, a parte varie vicissitudini (giornale chiuso dopo sei anni, disoccupazione, sostituzioni in Rai e poi assunzione dopo un altro paio d’anni di precariato) ho sempre fatto in parallelo le altre cose che mi piacevano, cioè occuparmi di letteratura fantastica e altro sia sulla carta stampata che alla radio, appena potevo mi sono sempre interessato di questi stessi argomenti (e dopo che me ne sono andato in pensione, al giornale radio non l’ha fatto più nessuno…): a parte alcuni racconti, soprattutto articoli, saggi, curatele di libri e antologia di narrativa, direzione di riviste ecc. È quindi difficile districare le mie varie attività in modo netto, non sono esistiti compartimenti stagni.
Come valuta l’attuale scenario internazionale e italiano dei generi del fantastico? Vi sono dei generi che, nel tempo, si sono evoluti o sono cambiati?
In particolare, il cinema e la tv on demand hanno cambiato i linguaggi e gli schemi?
Evidentemente nulla rimane fisso per sempre e delle evoluzioni o involuzioni sul piano stilistico e tematico ci sono sempre state e ci sono anche oggi, influenzate da vari fattori: la cultura generale e quella specifica, il costume, anche la morale.
Non si può dare un giudizio complessivo e valido per tutto, in quanto i filoni sono molteplici e gli autori diversissimi fra loro. Però penso che si possa dire che a livello internazionale spesso prevale un appiattimento su quel che propongono appunto i film e le serie televisive: si pensi al fenomeno, per me incomprensibile, del Trono di Spade, probabilmente per il prevalere di violenza, sesso e pessimi sentimenti in un contesto realistico, che quindi non può far definire né la serie di romanzi né la serie TV come heroic fantay, ma come una fantastoria adatta ai palati abbrutiti di oggi.
La fantascienza tende invece alla riscoperta di una space opera aggiornata e al prevalere del catastrofismo o comunque della distopia. In Italia, nel senso di autori italiani, il discorso è problematico, dato che per indicare qualche tendenza bisognerebbe che esista materiale su cui giudicare, e qui se ne stampa ormai troppo poco, specie di fantascienza. Quali editori “specializzati” sono rimasti? Non si può dire in che direzione vada la fantascienza italiana leggendo il solo romanzo all’anno che vince il Premio Urania… Quel che si legge però, soprattutto di fantasy ed heroic fantasy, mi sembra originale, cioè cerca di uscire dagli schemi americanizzanti e spesso e volentieri è ambientato in un contesto “italico” e fa riferimento a punti che traggono spunti dalla nostra cultura, reale o mitica che sia. È dagli anni Ottanta, dall’epoca del Premio Tolkien, che predico questa necessità…
Cosa consiglierebbe a un autore che voglia cimentarsi nella scrittura in ambito fantastico?
Inevitabilmente, quando si inizia a scrivere, quando si passa da lettore ad autore, si risentono le influenze di quel che appunto si è letto per anni. È sempre stato così. Poi però è necessario svincolarsi da modelli precostituiti. Se c’è qualcosa di sovrabbondante è la tendenza al catastrofismo e al pessimismo. Certo il clima generale induce proprio a questo, ma si dovrebbe fare uno sforzo per uscirne, anche se non dovrei essere proprio io a dirlo dato che ho messo in piedi varie antologie collettanee di questo tipo ed altre ne avrei in mente. Se si vuole fare una critica al presente la si può fare anche al contrario. E quel che manca – ma ripeto c’è difficoltà di pubblicarlo – è una sana fantascienza che tenga d’occhio i temi classici, spesso considerati “infantili”, senza però cadere nelle impostazioni del già scritto o del già visto. Non è difficilissimo farlo, dato che di cose originali si sono lette e viste, alcune proprio provenienti dagli USA. Si pensi a film affascinanti cone Interstellar e Inception.
Cosa prevede per il futuro del fantastico?
Molto difficile dirlo, dato l’intrecciarsi di molte varianti. Qui le mode si impongono immediatamente e improvvisamente per motivi illogici e irrazionali e del tutto non prevedibili. Un film, una serie tv, un romanzo possono imporsi e creare una tendenza senza un vero perché. La presenza pervasiva e anche ossessionante dei nuovi media che raggiungono tutti e subito, in tempo reale come si suol dire, è arrivata al punto che le cose cambiano da un giorno all’altro, gli idoli nascono e crollano nell’arco di quarantotto ore. Sul piano di science fiction, fantasy e horror scritti, magari la tendenza è lunga, ma come fare a prevedere qualcosa? Inoltre, il mercato tende a standardizzarsi: gli editori cercano soltanto cose che sicuramente si vendono secondo i loro personali criteri; gli agenti letterari, che sono sempre più diffusi come intermediari, chiedono agli autori che si rivolgono a loro, specie gli esordienti, di uniformarsi a questi desideri editoriali, frustrando la loro originalità; e gli scrittori, pur di vedersi pubblicati, si adattano a ogni richiesta. È un perverso circolo chiuso. Bisognerebbe avere il coraggio di resistere a simili diktat e portare avanti il proprio modo di inventare e scrivere. Speriamo che qualche rotella di questo ingranaggio salti, altrimenti ad ogni vincitore di Strega o Campiello leggeremo che ormai tutti scrivono sempre le stesse cose…