di Enrico Rulli
In un suo scritto, Eugenio Montale afferma che l’Italia è il paese degli «scrittori di un unico libro»: persone che nella loro vita dopo lunga meditazione partoriscono una sola opera, summa della loro esistenza. Con queste parole il poeta sottolinea il comportamento che è tipico dell’autore esordiente di trascinare per anni la cura di un unico romanzo, pensando che esso debba essere il capolavoro letterario che metterà a rumore il mondo dei critici e dei lettori.
Per difendere il loro atteggiamento, costoro citano il caso di Giuseppe Tomasi duca di Palma e principe di Lampedusa (Palermo 1896 – Roma 1957), il quale decise di scrivere Il Gattopardo, l’opera che l’ha reso immortale, a 58 anni e quasi per caso.
Narrano le cronache che nell’estate del 1954, il futuro scrittore accompagnò suo cugino, il barone e poeta emergente Lucio Piccolo a un convegno letterario organizzato a San Pellegrino Terme. Il convegno era organizzato in modo che a ogni scrittore facesse da padrino un intellettuale affermato. A Piccolo venne associato Eugenio Montale, la cui conoscenza fece una grande impressione in Tomasi. Sempre in quell’occasione il principe ebbe modo di incontrare anche Bassani, Ravegnani, Bellonci.
Non si hanno notizie precise in merito a cosa quell’incontro fece scattare nell’animo di quell’uomo schivo e di poche parole.
Unico figlio maschio di Giulio Maria Tomasi e Beatrice Mastrogiovanni Tasca di Cutò, Tomasi di Lampedusa si era forgiato sin da giovane in viaggi a giro per il mondo che alternava con lunghi soggiorni solitari nel palazzo di famiglia a Palermo. Solo in età matura si era avvicinato alla letteratura e ne era stato immediatamente affascinato. Bilingue, avendo imparato in tenera età dalla governante straniera a leggere e scrivere correntemente anche in francese, dopo aver militato in due guerre come ufficiale, nel 1925 si ritirò in Sicilia, da cui se ne allontanava raramente.
Isolato e schivo, spendeva gran parte delle sue giornate in letture e meditazione. Lui stesso ebbe a descriversi con queste parole:
«Ero un ragazzo cui piaceva la solitudine, cui piaceva di più stare con le cose che con le persone».
Sarebbe dunque stato un caso quel viaggio che lo colpì talmente da indurlo in poco più di un anno a dare mano e completare il suo capolavoro.
La realtà è ben diversa.
Già da tempo infatti l’autore si dilettava in scrittura. Quando, dopo la sua morte, si poté frugare tra le sue carte, furono ritrovati altri lavori, tutti usciti postumi, tra cui delle notevoli opere brevi raccolte nella antologia Racconti (1961) e poi i saggi raccolti nei volumi Lezioni su Stendhal (1977) e Invito alle lettere francesi del Cinquecento (1979).
Dunque quel romanzo non fu un episodio isolato della sua vita. È vero invece che Il Gattopardo era un’opera talmente anomala nel panorama culturale del tempo che il mondo editoriale la accolse con molta freddezza. Del resto l’autore vi si era preparato per anni con letture continue e varie, che andavano dai classici a Salgari a molti contemporanei come Moravia, Pratolini, Buzzati, che egli apprezzava.
Il figlio adottivo, Gioacchino Lanza Tomasi, in una intervista rilasciata al «Corriere della Sera» del 6 dicembre 1996, così descrive il padre: «è uomo di cultura mostruosa, ha letto tutto».
Perfino Elio Vittorini, che allora prestava la propria opera come lettore per Mondadori, respinse il manoscritto giudicandolo «oleografico», e come lui fecero altre grandi case editrici. Solo Giorgio Bassani, editor di Feltrinelli, ne rimase affascinato, tanto da caldeggiarne la pubblicazione, anche se poi non si astenne dall’operare una serie di modifiche allo stile, ritenuto troppo personale, che nelle edizioni successive sarebbero state per fortuna eliminate. Pubblicato nel 1958, il suo successo fu immediato ed enorme.
La ragione per cui a quell’opera non ne seguirono altri è semplice: il 23 luglio 1957 Giuseppe Tomasi di Lampedusa era morto di carcinoma polmonare in una clinica romana.
Non ebbe neppure la soddisfazione di assistere al proprio trionfo. Si spense infatti senza sapere che il romanzo era stato accettato da un editore.